Sguardi – Le frontiere dei corpi
Fermata Stratagemmi / Paesaggi condivisi
All’interno del Parco delle Groane, a pochi minuti dalla stazione ferroviaria di Garbagnate Milanese, un percorso teatrale interattivo conduce gli spettatori in una passeggiata alla riscoperta del patrimonio naturale che delimita i confini della città di Milano, nel tentativo di ricostruire quel legame interrotto tra uomo e natura.
Sette performance si susseguono nell’arco di sette ore, curate e allestite da un gruppo eterogeneo di artiste e artisti internazionali: Marco D’Agostin e Chiara Bersani (Italia); Tanya Beyeler e Pablo Gisbert del collettivo El Conde de Torrefiel (Spagna); Sofia Dias, Vítor Roriz e Antonio Tagliarini (Portogallo e Italia); Begüm Erciyas e Daniel Kötter (Turchia, Belgio e Germania); Stefan Kaegi del collettivo Rimini Protokoll e Riccardo Tabilio (Svizzera e Italia); Ari Benjamin Meyers (Stati Uniti); Émilie Rousset e Magali Tosato (Francia e Svizzera).
I performer, che quasi mai invadono lo spazio naturale con la loro presenza fisica, guidano gli spettatori in una passeggiata all’interno di un mondo sospeso, cercando di restituire, attraverso voci, suoni e immagini, il senso di una dimensione vicina ma estranea e quasi irraggiungibile. Il Parco delle Groane diventa così attore principale di questi brevi spettacoli; da scenografia inanimata si trasforma lentamente in una voce narrante, soppiantando l’egemonia umana con la forza dei suoi rumori.
Il pubblico attraversa boschi, radure e campi, passando per sentieri facilmente percorribili grazie anche ad alcune assi di legno appositamente posizionate sui tratti troppo fangosi: un tentativo di agevolare l’incontro con la natura, e in qualche modo, però, anche di addomesticarla per renderla più fruibile a una comunità umana. L’intero evento si sviluppa così attraverso un gioco di contraddizioni in cui, al tentativo degli artisti e delle artiste di rileggere lo spazio naturale e riconnettersi a esso, si alterna la tendenza inevitabilmente umana di imporre i propri modelli e sistemi: dai poncho dati in dotazione per ripararsi dalla pioggia, ai bagni chimici installati a metà percorso, l’organizzazione attenta del tour lascia trasparire l’impatto della presenza antropica che, ancora una volta, si impossessa di questi luoghi per renderli più agili al suo passaggio. Gli artisti riflettono su questa appropriazione, svelandola e criticandone le conseguenze, e aiutando così gli spettatori a reintrodursi in quel sistema di connessioni con l’altro e con la natura di cui, spesso inconsciamente, sono parte. Tutto ciò passa attraverso l’esperienza dei sensi, costantemente stimolati e illusi nel corso delle performance per aiutare il pubblico ad abbandonare le forme razionali e consuete della sua interazione con lo spazio, permettendogli di vedere, sentire, toccare, odorare e gustare l’ambiente che lo circonda in modo inedito. È questo il caso della pièce di Stefan Kaegi e Riccardo Tabilio che, attraverso il supporto audio delle cuffie, costruiscono un’esperienza immersiva in grado di trasformare e alterare i suoni del paesaggio circostante; ma anche di Sofia Dias, Vítor Roriz e Antonio Tagliarini, i quali modificano la percezione dello spazio attraverso un esercizio di riscrittura dei corpi nella loro interazione con gli altri e con i luoghi abitati.
Queste performance sono mediate dalla tecnologia, filtro percettivo attraverso cui gli spettatori fanno esperienza del microcosmo di organismi che abitano il parco. Cuffie, visori VR, schermi e perfino trattori invadono il mondo naturale e ne diventano parte integrante, fungendo da intermediari tra le parole degli artisti e il pubblico, ma anche tra lo spazio e gli individui. Una delle ultime performance, realizzata dal collettivo El Conde de Torrefiel risulta particolarmente emblematica rispetto a questa prospettiva: un grande schermo nero dà forma alla voce silente della natura, è Gaia, Physis, Dio, Scienza, è quella Madre che ci ha visti crescere come specie e da cui ci siamo forse troppo presto emancipati. Accompagnata dal suono disturbante di voci indistinte, questa presenza guida gli escursionisti lungo tutto il percorso e infine prende parola, assumendo schemi comunicativi adatti, ancora una volta, alle necessità degli uomini, al loro modo di pensare e concepire la realtà. La natura si appropria così di un mezzo non suo, attraverso il quale gli uomini costruiscono rapporti tra loro e con il mondo esterno e edificano un paesaggio da cui però essa viene ormai esclusa. Per un solo momento, la voce della Terra si fa concreta, udibile e leggibile, per lasciare un monito finale agli astanti: «Io sono complessità, evoluzione, abbondanza e trasformazione». Sembrano tutti attributi che abbiamo sottratto al mondo naturale per adeguarli al nostro modello di vita, per illuderci di poter essere di più, di poter stabilire una frontiera da cui distinguerci. In realtà, ci rivela il nostro essere parte di un sistema più ampio di connessioni che trascende la limitatezza dell’agire singolo.
Con queste amare parole, seguite da una performance musicale, si chiude un evento unico e irripetibile, in grado di cambiare la fisicità dei suoi partecipanti nel loro rapporto corporeo con lo spazio e di trasformare i mondi separati delle esistenze umane e naturali in paesaggi condivisi.
Claudio Favazza
foto: Luca Del Pia